Visitare Soleto


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    mappa soleto

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    La Mappa di Soleto
    500 a.c.


    E’ conosciuta come la Mappa di Soleto e si trova su un vaso di terracotta in ceramica scura ed è grande poco più di un francobollo con l’incredibile raffigurazione, graffita su uno dei lati, del ‘capo Iapigio’ cosi come lo definivano gli antichi, corrispondente all’attuale Salento meridionale. La data risale al 500 avanti Cristo. Il reperto archeologico è stato scoperto nell'agosto 2003 da un archeologo belga, Thierry van Compernolle negli scavi da lui condotti nella piccola città di Soleto, prima con una missione della Libera Università di Bruxelles, poi con una dell’Università Paul Valery Montpellier III. Questa è la più antica carta del Mediterraneo e più in generale della civiltà occidentale”, ha spiegato il ricercatore al News Telegraph, che ha reso nota la scoperta. La mappa, esattamente come una carta dei nostri giorni, riporta diverse località con il loro nome ed è scritta in greco antico e in parte in messapico, la lingua della Messapia (terra di mezzo), ossia l’antica penisola salentina, posta tra il mondo greco ed il territorio occupato dagli Itali. “La mappa è unica in un certo senso: rappresenta una linea costiera che inquadra la parte meridionale della penisola salentina (cioè la Iapigia) ed è possibile riconoscere i mari che la circondano, lo Ionio e l’Adriatico da linee parallele a zig zag”, dice Mario Lombardo, professore di storia greca ed epigrafia all’Università di Lecce. Sul lato occidentale della mappa si riconosce il nome greco di Taranto, Taras. Inoltre sono presenti altre 13 città, indicate sulla mappa con dei punti, come succede nelle mappe moderne. Molte di queste città esistono ancora: Otranto, Soleto, Ugento, e Santa Maria di Leuca. Secondo Lombardo, la mappa è frutto di un lavoro combinato di più persone: alcuni nomi di città sono scritte in un modo molto regolare ed elegante, mentre altri sono scritti in modo più disordinato. Oltre ad essere la più antica mappa proveniente dal mondo classico, la Mappa di Soleto è anche la dimostrazione che gli antichi Greci erano realmente interessati nel rappresentare aree realmente esistenti e lo fecero ancora prima ancora dei Romani. Dalla letteratura era noto che tra i Greci fosse ben chiaro il concetto di mappa, ma fino ad oggi non ne era mai stata scoperta una con così chiari riferimenti.

    Collocazione: Museo Nazionale Archeologico di Taranto

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    chiesa guglia

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    Guglia Orsiniana
    1397

    La Guglia Orsiniana, con i suoi 45 m di altezza, rappresenta la sintesi e l'emblema del paese. Fu realizzata nel 1397 da Francesco Colaci di Surbo, su commissione di Raimondello Orsini del Balzo, Conte di Soleto e Principe di Taranto, che fu instrumentum della politica pontificia ostile ai greci: la guglia era considerata come un atto di imposizione formale di un linguaggio esclusivamente latino in una comunità totalmente greca. Oggi la guglia è annoverata fra i monumenti nazionali del nostro paese. La leggenda del filosofo e alchimista Matteo Tafuri ci racconta di streghe che ricamavano febbrilmente la trama delle sculture, mentre schiere di diavoli alati, al lume di fiaccole, trasportavano i massi scolpiti, gli steli di colonne e gli architravi istoriati con l'intento di costruire il campanile in una sola notte; ma al canto del gallo quattro diavoli rimasero pietrificati sogghignanti ai quattro angoli del campanile, sulla balaustra merlettata del terzo piano. Fino al 1600 la guglia fu un campanile in quanto ospitò le campane, che furono poi spostate nella torre campanaria più bassa, al lato orientale della chiesa. L'edificio ha forma quadrata e racchiude in sé ben cinque ordini architettonici. Il piano-base è particolarmente spoglio ma le decorazioni crescono man mano che la torre s'innalza; il primo ordine, privo di finestre, è marcato da una cornice ad archetti trilobi, anche il secondo ordine è privo di finestre ma caratterizzato da una doppia cornice ad archetti trilobi. Nel terzo ordine compaiono le finestre bifore, numerosi motivi floreali, mensole e archi con teste scolpite; ogni bifora è divisa da una colonnina tortile che termina in una decorazione a forma di cuore innestata in un arco gemino trilobato. Il quarto ordine vede la ripetizione di queste decorazioni e le stesse finestre che però sono circondate da una balconata ornata. L'ultimo ordine è costituito da un tiburio ottagonale con una finestra bifora su ogni lato, sormontata da frontoni trapezoidali e colonnine angolari sostenenti leoni alati. Il cupolino conclusivo, precedentemente rivestito di mattoncini verdi e gialli, ed ora di pietra, ha forma sferica e risale al XVIII sec.

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    chiesa san nicola

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    Chiesa di San Nicola
    1469



    L'antica e più modesta chiesa, orientata da est ad ovest, era governata dall'Abate Nicodemo, nel 1469 ma, secondo le disposizioni testamentarie del fisico Dott. Antonio Bifali di Melpignano, marito di Raimonda Coletta di Soleto, la chiesa fu ricostruita nel 1648, adibita a monastero di clausura, ed inaugurata nel 1689 dall'Arcivescovo di Otranto Monsignor Ferdinando De Aguinar. E' da ritenersi uno dei più grandi edifici sacri di Soleto ed è da attribuirsi all'architetto Francesco Manuli di Corigliano; il suo è un prospetto seicentesco nel quale si inseriscono un portale riccamente intagliato e sormontato da una tozza statua del titolare e, in alto, una finestra di egregia fattura sorretta da due mensole eleganti. L'interno della chiesa è a navata unica, rettangolare, coperta da volte a stella intervallate da archi a tutto sesto che la dividono in tre campate. Le prime due sono destinate ai fedeli e, sul lato destro, sono affiancati due altari dedicati rispettivamente alla Trinità, con una tela del 1680, e a S. Francesco e S. Chiara, fondatori degli ordini francescani. Il titolare della chiesa, S. Nicola, è raffigurato in una tela del 1726, collocata sulla parete del presbiterio, nella quale sono anche raffigurati i quattro miracoli del Santo: lo schiavo liberato, il pegno delle tre monete che il Santo chiede a tre ragazze per farle sposare, il cavallo guarito e i tre fanciulli salvati dalla morte. Sul lato sinistro si trova invece l'altare di S. Domenico ed un vano che collega la chiesa alla sagrestia. Di seguito, accanto al presbiterio, vi è il coro da dove le monache, fino al 2002, cioè fino al loro trasferimento in un altro monastero, partecipavano alle funzioni religiose, separate da una grata in ferro battuto. Potevano seguire i riti sacri anche dal primo piano, attraverso alcune aperture schermate in corrispondenza del coretto e della sagrestia, o dal coro di notte, che permette l'affaccio diretto sull'altare maggiore. Sono interessanti da notare il tabernacolo in tartaruga ed ebano, a forma di conchiglia, dono del Duca Filomarini di Cutrofiano.

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    santuario madonna grazie

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    Santuario Madonna delle Grazie
    1601-1614


    La costruzione di questa chiesa iniziò nel 1601 e terminò nel 1614. Il prospetto è rivolto ad ovest, secondo la regola francescana. E' una facciata in stile barocco, non esente da influssi tardo-rinascimentali, e presenta ai lati due coppie di lesène che partono dal grosso basamento, alto la metà del portale. Il fregio di coronamento che collega le lesène è costellato da rosette, allineate con gli elementi sottostanti. Il portale ligneo è inquadrato da due colonne scanalate nei due terzi superiori e cerchiate da ghirlande floreali e, nella parte inferiore, da un mascherone. L'edicola posta al di sopra accoglie una finestra ad arco a tutto sesto, affiancata da due nicchie gemelle sormontate da timpani spezzati, che ospitano le statue di S. Francesco e S. Antonio, i massimi esponenti dell'Ordine Francescano. E' interessante notare le figure sataniche incatenate nelle paraste, quasi ad indicare la vittoria di Maria sul Male. Il campanile a vela conserva una campana del 1639, opera di Giovanni Vincenzo Bono, con l'immagine della Madonna delle Grazie. L'interno è a navata unica, coperta da una volta a botte divisa in sei campate lunettate, intervallate da eleganti lesène che partono dal pavimento e si arrestano all'imposta della volta. Nella chiesa sono conservate le tele degli antichi altari, le più interessanti sono la tela della Madonna del Rosario, di S. Pasquale Baylon, della Madonna del Carmine e della Sacra Famiglia con S. Girolamo e S. Chiara. Quest'ultime sono opere seicentesche, così come la tela dell'Immacolata con S. Francesco e S. Leonardo. La parete dell'arco trionfale è ravvivata dall'affresco realizzato nel 1953 da Aloisio Gabrieli. Il disegno rappresenta la leggenda del miracolo del 1568, in seguito al quale fu edificata la chiesa: il taglialegna Giacomo Lissandri, rovinato dal gioco, che invoca la propria morte colpendo con un'ascia il volto di una Madonna, che inizia a sanguinare. Nella rappresentazione compare anche il taglialegna in fin di vita, ferito a morte dal macellaio Luigi Rullo, mentre confida il miracolo ai compaesani che, trovata l'icona ancora sanguinante, eressero la chiesa per devozione. La parete affrescata separa l'abside rettangolare, coperta da tre voltine a stella allineate alla parete di fondo, dove è posizionato l'altare maggiore tripartito, in pietra leccese, con quattro colonne scanalate sui cui capitelli poggia la trabeazione. Al centro è custodita l'immagine miracolosa della Madonna delle Grazie. Ai lati dell'altare, nelle due grandi nicchie conchiliformi, sono collocate le statue di S. Francesco e S. Antonio da Padova. Dietro l'altare maggiore è sistemato un bellissimo coro ligneo intarsiato, risalente al 1727, le cui spalliere sono fregiate da capitelli corinzi e decorazioni a fiori.L'illuminazione della chiesa è garantita da quattro finestre aperte nelle lunette centrali del lato destro e da quella del prospetto. Tra le tante iscrizioni incisa all'interno e all'esterno della chiesa, segnaliamo quella sul muro posto al lato sud del tempio, che ricorda che l'Arcivescovo di Otranto, Mons. Raffaele Calabria, accogliendo le preghiere dei Frati Minori e dei fedeli, il 5 Agosto 1953, elevò il tempio a Santuario Diocesano.

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    chiesa s stefano

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    Chiesa di Santo Stefano
    1347

    Fu costruita probabilmente nel 1347, da un ignoto fondatore, ed è una chiesa dal tipico fascino orientale bizantino che fu, fino alla fine del XVI secolo, un centro religioso culturale italo - greco di notevole importanza. La facciata è prevalentemente in pietra leccese e mette in evidenza i caratteri romanici del portale, del rosone e del tipico campanile a vela con bifora. La chiesa è orientata ad ovest e la sua semplicità è sottolineata dalle modanature lineari che percorrono il basamento, riquadrano gli spigoli ai lati, e seguono l'inclinazione della cuspide, corrispondente alla larghezza del prospetto. Il piccolo campanile interrompe la cuspide di coronamento, contribuendo a dare slancio a tutto l'edificio. In origine il portale era costituito da un protiro, ma ormai, l'erosione della pietra leccese ne lascia poche tracce visibili, infatti le due colonne sorrette da figure di mostri, che sostenevano due leoni stilofori, su due mensole ai lati dell'architrave, sono andate perdute. L'architrave è decorato da rosette e da una fascia di fogliame e decorazioni floreali ormai quasi del tutto cancellate. Al di sopra dell'architrave vi è una lunetta a tutto sesto che forse in passato conteneva una pittura di S. Stefano. Sia la lunetta che il rosone ad otto raggi sono sormontati da un archivolto scolpito con foglie di acanto e schemi floreali. L'interno è a pianta unica rettangolare, coperta da un tetto a due falde sostenuto da tre capriate, e termina con una piccola abside a semicatino, semicircolare e cieca, che sporge all'esterno. La zona del presbiterio è delimitata da due gradini lungo tutta la larghezza del vano. A sinistra dell'abside principale se ne trova un'altra più piccola che serviva da próthesis , infatti, secondo il rito greco, qui veniva preparato il pane e il vino per la celebrazione. All'estremità della parete nord fu scavata un'altra nicchia rettangolare per necessità liturgiche. Gli affreschi che coprono le pareti, molto degradati e intaccati da lacune, sono pitture bizantine disposte a fasce orizzontali sovrapposte, accompagnate da iscrizioni greche riferite ai soggetti rappresentati. La parete sud è costituita da tre fasce, quella opposta da quattro. All'altezza dell'osservatore sono raffigurati una serie di santi in dimensione naturale. I cicli superiori della parete settentrionale raffigurano la vita di Gesù: prima i Magi, la Fuga dall'Egitto, poi il Battesimo, la Crocifissione e infine la Resurrezione. Sulla parete meridionale, i due cicli superiori raffigurano i miracoli e il martirio di S. Stefano. Nella concavità dell'abside sono ritratti quattro vescovi, padri della Chiesa Bizantina, attorno all'immagine di Cristo adolescente; la parte superiore illustra invece la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli in preghiera attorno alla Vergine, seduti davanti alle mura merlate di Gerusalemme. La parete est comprende gli affreschi che rappresentano il giudizio universale, tema ricorrente nel Salento del XIV secolo. Al centro di questa composizione vi è l'arcangelo Michele vestito da cavaliere angioino che divide due scene, quella alla sua destra dove risiede il gruppo degli eletti con il paradiso, e quella alla sua sinistra con la narrazione dei vizi dei dannati e dei supplizi infernali. La chiesa è illuminata naturalmente tramite il rosone che fora la facciata ad ovest ed una piccola finestra nel muro sud, che dà nel presbiterio.